Non so se colpisce di più l’eleganza del portamento, il corpo asciutto e il passo felpato di lui, le gambe affusolate, perfette e senza età di lei, oppure il viso di entrambi: ottantenni che hanno conservato la faccia antica di ragazzi di barrio, popolani dall’espressione malinconica e spavalda. Quando si conobbero nel 1949 al Club Estrella de Maldonado a Buenos Aires e danzarono per la prima volta, lei aveva 15 anni e faceva la domestica, lui 18 e voleva diventare ingegnere elettromeccanico. Invece divenne “ingegnere di tango”.
Questa coppia di vecchi ballerini è la leggenda che ha fatto del tango un fenomeno mondiale: in Argentina e per l’arcipelago globale dei tangueros, Juan Carlos Copes e Maria Nieves Rego sono stelle assolute. Come dire Ginger Rogers e Fred Astair, Gene Kelly e Cyd Charisse, i ballerini che furono i loro modelli da ragazzi. Copes e Maria Nieves hanno portato il tango negli Stati Uniti alla fine degli anni Cinquanta, nei primi Sessanta lo hanno reso popolare all’ Ed Sullivan Show, negli anni Ottanta lo hanno riportato a Parigi con Cludio Segovia e Héctor Orezzoli e poi in tour mondiale con lo spettacolo, rimasto in scena per un decennio, “Tango Argentino”; hanno ballato alla Casa Bianca per il compleanno di Ronald Reagan…
Copes è stato protagonista e coreografo dello spettacolo di Astor Piazzolla “Maria de Buenos Aires”, autore della coreografie del film “Tango” di Carlos Saura, maestro di Robert Duval e di Liza Minnelli…Con Maria Nieves sono stati partner, soci, amanti, marito e moglie sposati a Las Vegas nel 1965; la coppia perfetta del tango si è burrascosamente amata, lasciata e ripresa e poi definitivamente separata e sinceramente odiata. A partire dal 1976, con il primo tradimento importante, quando Copes fece una figlia con un’altra e avvenne la prima rottura, i due hanno continuato a danzare insieme per altri vent’anni. Fino alla rottura artistica definitiva del 1997, quando lui sciolse la compagnia mettendo lei alla porta senza neanche dirglielo. Maria Nieves dichiarò: “Con me è stato un vero figlio di puttana, ma non ci sarà mai un ballerino grande come Copes”. Poi nel 1999, già vecchi, eccoli di nuovo a ballare insieme sul palcoscenico di Broadway e sono queste le immagini più emozionanti di Un ultimo tango, il musical documentario del regista tedesco-argentino German Kral, prodotto da Wim Wenders, che va nelle sale cinematografiche italiane il 18 aprile prossimo e che racconta questa grande storia di amore e di passione per il tango. Mentre “ la pareja del siglo” riunita sullo schermo non smette di litigare: “Non c’è uomo che valga una sola lacrima di donna”, dice Maria Nieves; e Juan Copes ha cancellato dal suo sito ufficiale le tracce di lei, che per mezzo secolo è stata l’altra metà della sua arte.
Presentati i genitori del tango nuovo, quello che nella seconda metà degli anni Ottanta torna in Argentina baciato dal successo internazionale e lì – dove ormai è fuori moda – si rigenera ancora una volta per straripare in ogni dove, guadagnandosi nel 2009 la patente di “patrimonio culturale dell’umanità”, eccoci alla milonga globale del XXI secolo, dove il tango è uno dei linguaggi del mondo interconnesso.
Come si spiegano milioni di praticanti distribuiti anche in paesi culturalmente molto lontani dal tango argentino, come la Cina o il Giappone, la Finlandia o la Novergia? Ci sono importanti festival di tango a Seul, a Fukuoka, a Helsinki. Sui siti dove le milonghe si autocensiscono, si può vedere che fioriscono rapidamente in Corea del Sud, in Cina e a Hong Kong, che – secondo Huffington Post – è la capitale asiatica del tango argentino. Ci sono milonghe negli Emirati Arabi e persino a Teheran, dove viene da chiedersi: come si fa, in regime di apartheid sessuale? Per non dire del nomadismo mondiale, appassionati che girano da un paese all’altro seguendo i festival.
Guardando l’Italia, basterà ricordare, tra le molteplici attività, che a Milano c’è l’Accademia di tango, fondata con Daiana Guspero da Miguel Angel Zotto. Considerato uno dei tre maggiori ballerini di tango del mondo, di origine italiana, Zotto ormai vive e insegna qui, dove – se si getta un occhio alla composizione musicale di tango – non si possono dimenticare il maestro Luis Bacalov e i tango-jazz argentini di Javier Girotto e Natalio Mangalavite, il cui ultimo album, firmato con Peppe Servillo, ha un titolo che parla da sé: “Parientes”. Ma come fanno i coreani a esserci parenti nel tango?
C’è qualcosa, nella storia e nella fenomenologia di questo ballo, che ne fa una chimèra che si rigenera ovunque. “Il tango è un ibrido singolare: è inattuale e aderisce alla postmodernità, è nostalgia e insieme corrispondenza perfetta con il mondo contemporaneo”, dice Davide Sparti, filosofo e sociologo docente all’Università di Siena, che ha scritto “Sul tango. L’improvvisazione intima”, pubblicato dal Mulino.
Autore di studi sulla musica jazz, Sparti è figlio di una coreografa e ha un vissuto danzante: per conoscerlo ha ballato il tango, anche in giro per il mondo; la sua compagna è cinese e dunque frequenta la Cina, dove ha danzato più di una volta: “Anni fa– racconta – la milonga tradiva l’imbarazzo dell’abbraccio intimo in pubblico, il desiderio di emulare un codice, una forma… ma adesso non è più così: il tango detta legge ovunque , è più forte delle culture locali, che si possono più facilmente rintracciare nella musica, nello stile delle orchestre o negli atteggiamenti a bordo pista”. E perché mai il tango sfugge alla mimesi, al falso perfetto che in estremo Oriente è eccellenza già vista nell’opera lirica? “Perché il tango è metabolizzazione e rigenerazione continua, è l’improvvisazione creativa di due sconosciuti che si concedono il rischio di un incontro, di un gioco di cui non si può anticipare l’esito e che ha la durata di una tanda…”. Non esiste un tango uguale a un altro – si legge nel libro di Sparti – nemmeno quando il gioco si ripete tra gli stessi ballerini, nello stesso luogo e con la stessa musica.
Dunque un rituale d’incontro tra sconosciuti, un corpo a corpo che celebra l’allegoria di un unione, e che prospera in comunità urbane culturalmente fluide, dove tutto è provvisorio, comunità simili a quelle dove è nato alla fine dell’Ottocento, tra Buenos Aires e Montevideo. Nell’infanzia del tango, che Sparti definisce “quasi indocumentabile”, ci sono i coventillos de La Boca, pensionati per migranti, creoli, ex schiavi e una geografia culturale fatta di habanera cubana, candombe africano e payada dei gaucho, tenuti insieme dall’abbraccio europeo nello spazio della milonga portena. Un magma sincretico che inscena lo sradicamento, l’esilio, il desiderio inappagato, un punto d’incontro tra “il familiare e l’ignoto, il prossimo e l’estraneo”.
Questo ballo scandaloso arriva a Parigi ai primi del Novecento con i dandy dell’alta società Argentina e nel giro di pochi anni la conquista, diventa di moda e molto chic. Addomesticato e socialmente accettabile, il tango rientra a Baires dove conosce una diffusione enorme: 650 orchestre che lo suonano in città nel corso degli anni Trenta e Quaranta, quando cominciano a muovere i primi passi Juan Carlos Copes e Maria Nieves Rego.
Insomma di che stupirsi? La globalizzazione è intuitivamente nel dna del tango, gli appartiene per statuto. Del resto, anche la messa in scena del corpo a corpo fugace tra sconosciuti rispecchia modalità di rapporto diffuse nelle metropoli contemporanee. Lo scambio dei partner nel corso della stessa serata – nel tango come nelle jam session – è costitutivo. Ma la sua drammaturgia erotica – spiega Davide Sparti – segue una grammatica precisa, si compie attraverso un’iniziazione quasi ascetica, nel tango l’improvvisazione è possibile perché si regge su una disciplina rigorosa, che costa fatica. E’ questo che la gente cerca nel tango: disciplinare il caos? Di sicuro, il tango funziona in qualche modo come terapia, trasforma la vita emotiva, addestra a muoversi seguendo il flusso circolare delle cose, l’energia della ronda in continuo movimento anti-orario; smettere di ballare con una certa frequenza dà irrequietezza…
Non sono poche le ragioni per cui il tango veste bene bisogni della vita urbana contemporanea, ma ci sono anche aspetti per i quali è in liberatoria contro-tendenza: per esempio si è tangueri a qualunque età e con qualunque corporatura, in barba alle prescrizioni del tutti giovani, belli e magri. Il tango è comunitario, è “socialità incarnata”, incontro e conoscenza dell’altro attraverso il corpo, in un’ epoca di atomizzazione, di scambi erotici in chat, di sesso virtuale. Ma, soprattutto, il tango celebra la nostalgia di un modello di relazione tra l’uomo e la donna.
Davide Sparti ama il tango e non cede mai all’idea che possa trattarsi, secondo la sua efficacissima definizione, di “un fossile ideologico”: la milonga come il luogo dove la donna emancipata corre a rivestirsi da femmina fatale e dove l’uomo recupera la capacità perduta di guidare la relazione. Il libro racconta bene che il tango richiede attori forti e non docili, che il soggetto è la pareja, la diade, la coppia dove l’uomo che guida impara a non forzare e la donna che segue a non subire, imponendo un ritmo e una corresponsabilità coreografica.