Il turista straniero? Ah, un poveraccio condannato al solito percorso, “scorazzato da un vetturino di osteria in osteria, ciceronato da una guida di galleria in galleria, consacrato anima e corpo alla compagnia dei propri connazionali, per indolenza, mancanza di giudizio o ignoranza della lingua, dell’Italia alla fine non vede quasi niente: per fortuna tuttavia è impossibile non accorgersi che l’Italia c’è, che è tanta, e che è magnifica, perché le viste dei luoghi qui ti incalzano e ti riempiono l’occhio”. Il personaggio infilzato qui non è lo sbadato acquirente di un odierno pacchetto di viaggio, è l’elitario viaggiatore del Grand Tour, arrivato in Italia per fare conoscenza del mondo, per abbeverarsi alle antichità classiche e all’arte del Rinascimento e per portare a compimento formazione intellettuale ed educazione sentimentale.
Siamo nel 1847 e a scrivere queste note, così moderne e spigliate, è la prima giornalista americana corrispondente dall’Europa che, con incredibile anticipo sui tempi, nel romantico viaggiatore di metà Ottocento, identifica già il turista. Dunque eccola mentre va in cerca di luoghi non ancora toccati “dal disordine e dalla confusione delle ‘invasioni straniere’, intendo dire le invasioni dei fan del turismo”, e mentre ironizza sulla mancanza di sintonia degli inglesi. Gente di cui lei ha apprezzato dignità, verità e senso pratico mentre si trovava in Inghilterra, ma in Italia no … Fatte le dovute eccezioni – Robert Browning per esempio – non li si può ascoltare. Prendiamo “quel loro chiacchierare e sghignazzare durante il Miserere nella Cappella Sistina, sotto gli sguardi delle Sibille di Michelangelo”. Oppure “quel loro definire con sufficienza ‘carina’ la maestosa Basilica di San Pietro”; o anche “quel loro dire ‘provare a ritagliarsi del tempo’ per fare una visita del Colosseo al chiaro di luna che è una cosa imperdibile”. Per non parlare di quando pensano di poter rappresentare la sublime calma della campagna romana “con uno schizzo”.
Questa signora resterà in Italia tre anni, che cambieranno il corso della sua esistenza. Viaggerà in lungo e in largo, da Genova a Napoli, da Milano a Venezia e a Firenze per poi approdare a Roma: spedirà 27 reportage pubblicati principalmente da due quotidiani (New York Daily Tribune, di cui era stata redattrice letteraria, e The People’s Journal di Londra); firmava le corrispondenze con una stella e, per arrivare a destinazione, i suoi dispacci impiegavano 40-50 giorni. La Tribune li impaginava come una rubrica, intitolata Things and Thoughts in Europe. Cominciò scrivendo di cultura, fatti di vita e varia umanità, visitando gli studi degli artisti, ma poi divenne sul campo notista politica e corrispondente di guerra: fu testimone dei moti del 1848 e poi della tragica ed epica vicenda della Repubblica romana. Aveva una personalità fuori dal comune, era un’osservatrice strepitosa. I suoi reportage sono ora integralmente pubblicati da All Around, nella collana di storia del giornalismo gestita in collaborazione con la Fondazione Paolo Murialdi, con il titolo “Margaret Fuller corrispondente di guerra”, traduzione e cura di Mario Bannoni.
Miss Fuller non fu soltanto una reporter, con Ralph Waldo Emerson aveva fondato e diretto la rivista di letteratura e filosofia The Dial, era nel gruppo costitutivo dei trascendentalisti americani raccolti intorno a lui, insieme con Henry David Thoreau, Nathaniel Hawthorne e Bronson Alcott – il padre di Louisa, l’autrice di “Piccole donne”.
Femminista, due anni prima di arrivare in Italia, Margaret Fuller aveva pubblicato “Woman in the 19th century”, un libro considerato scandaloso per l’epoca e diventato a suo modo un bestseller. Ebbe un posto di primo piano in quella che Susan Cheever ha definito la Bloomsbury americana, il cenacolo filosofico che attrasse anche Walt Whitman ed Herman Melville e che ispirò Emily Dickinson. Figlia di un famoso avvocato di Boston, che poi divenne membro del Congresso e che l’aveva educata con ardore puritano a una severa disciplina di studi, Margaret sapeva il francese, il greco, l’italiano, aveva studiato filosofia e letteratura, a sei anni leggeva Ovidio e Orazio in latino e naturalmente suonava il piano. Si appassionò a Dante e imparò il tedesco per leggere Goethe, adorava Madame de Staël. A causa di questi studi matti e disperatissimi soffrì precocemente di disturbi del sonno, ma certo non si sentì mai inferiore ad alcuno. Una ragazza così seminava il panico, gli uomini la consideravano aggressiva e mascolina. Giudizi da relativizzare mettendo in conto – come ci ha raccontato Louisa Alcott – che in epoca vittoriana una tipa sarcastica e di carattere, che aspirasse a grandi cose, non si lasciasse intimidire facilmente e non fingesse di svenire ogni due per tre, era subito tomboy. Un maschiaccio come Jo March, la più amata di sempre tra le protagoniste di “Piccole donne”.
Quando arrivò in Italia Margaret Fuller aveva trentasette anni, era single e non aveva mai creduto nel matrimonio. I ritratti di cui disponiamo non ce la restituiscono avvenente. Sempre da Susan Cheever (“American Bloomsbury”, Simon&Schuster 2006) sappiamo che aveva un fascino speciale: a renderla attraente, in quel mondo estremamente paludato, diciamo pure ipocrita, era una favella cristallina, diretta e senza infingimenti. Aveva una sorta di magnetismo erotico, oggi si direbbe che era sexy. Aveva fatto girare la testa a Emerson e a Hawthorne, l’autore de “La lettera scarlatta”. Le sue corrispondenze dall’Italia traboccano di passione e d’entusiasmo, sono piene di osservazioni acute sull’arte, la storia, la lingua, i dialetti, rivelano una grande empatia.
A Milano, il 10 agosto 1847, Margaret Fuller conobbe Alessandro Manzoni, che aveva ammirato e letto in italiano. Ne rimase talmente colpita che, appena rientrata in albergo, scrisse a Emerson emozionata: “Ha una potenza mistica nello sguardo; i suoi occhi emettono una luce ferma e una tenerezza delicata (…) I suoi modi sono molto seducenti, franchi, espansivi; ogni parola rivela la costante elevatezza dei suoi pensieri”. Al suo maestro di là dall’Oceano, Fuller racconta che Manzoni vive molto semplicemente con la sua giovane seconda moglie, Teresa Borri Stampa, una ragazza che “le persone attorno a lui non gradiscono” e che a lei invece è piaciuta. I Manzoni l’hanno invitata a tornare da loro spesso, lui “sembra gradire la mia conversazione”. Nell’articolo destinato ai suoi lettori dirà che quando ha visto le acque ribollenti dell’Adda ha riconosciuto subito i luoghi delle peregrinazioni di Renzo nei “Promessi sposi”.
Divenne un’intrepida cronista dei moti del 1848 ed eccola restituirne il clima in un report datato 29 marzo, dopo l’insurrezione di Vienna e la caduta di Metternich: “Ho visto le insegne dell’Austria trascinate per le strade di Roma e bruciate a Piazza del Popolo. Gli italiani si abbracciavano e gridavano: Miracolo! Provvidenza! Ciceruacchio, l’odierno Tribuno, alimentava le fiamme con le fascine; Adam Mickiewicz, il grande poeta polacco, a lungo esiliato dal suo paese, o meglio dalla patria sperata, era lì che osservava mentre alcune donne, anch’esse polacche, sue compagne d’esilio come una suora che vive qui, un tempo sottoposta a flagellazione giornaliera per ordine del loro tiranno, raccoglievano i frammenti delle insegne austriache dispersi per strada e li gettavano nelle fiamme: un aiuto che gli italiani accoglievano con sonori applausi. È stato uno slancio spontaneo del popolo, incapace di trovare mezzi migliori per dar sfogo alla gioia”. Poi dà conto di quanto sta succedendo in quella che d’ora in avanti chiamerà Alta Italia: a Venezia, Modena, Parma; scrive che a Roma i giovani corrono ad arruolarsi al Colosseo per andare a combattere alla frontiera, che nelle piazze si raccolgono fondi e anche i più poveri donano qualcosa.
Già prima di arrivare in Italia, Fuller aveva incontrato Giuseppe Mazzini a Londra e ne era rimasta colpita, il suo pensiero radicale le farà innegabilmente da bussola nell’intricata situazione politica italiana, però senza rinunciare alla sua libertà di giudizio. Considera Mazzini “un uomo di talento”, sa che “ha una mente di gran lunga in anticipo rispetto ai tempi e in particolare rispetto alla sua nazione … Tuttavia, neppure Mazzini si accorge di tutto: egli aspira all’emancipazione politica, ma non si rende conto del peso di alcuni avvenimenti, che proprio ora cominciano a verificarsi, o di cui magari negherebbe l’importanza”. Non nasconde la sua antipatia per il moderato Vincenzo Gioberti, che considera “un vero impostore: uno che persegue il potere assoluto mascherandolo sotto un manto di belle parole”. Il giudizio su Terenzio Mamiani, che a Roma è ministro e leader liberale, è impietoso: “Persona inadeguata alla carica sotto ogni punto di vista: un uomo pieno soltanto di retorica. Tuttavia, nessun altro sarebbe stato in grado di fare qualcosa, a meno di convincere il Papa a cedere il potere temporale”. L’attenzione riservata a Pio IX è molto più cauta e articolata. Anche lei, come altri liberali, ha molto sperato nella buona volontà del pontefice e deplora i commenti sferzanti dei colleghi inglesi.
Quando arriva a Roma, Margaret Fuller guarda al Papa con sincero e ammirato stupore. Ai suoi lettori racconta di averlo incontrato mentre “andava a piedi facendo moto. Infatti egli lascia spesso la carrozza davanti alle porte della città e va passeggiando in questo modo. Camminava rapidamente, vestito d’una semplice tonaca bianca, e accompagnato da due giovani ecclesiastici in linde tonache purpuree che su entrambi lati gli camminavano accanto, e regalavano monete d’argento ai poveri che si inginocchiavano ai lati della strada, mentre l’amato Padre dava loro la benedizione”. Naturalmente arriverà il momento in cui sarà profondamente delusa dal voltafaccia di Pio IX, che aveva alimentato le attese liberali e, dopo i moti del 1848, aveva concesso la costituzione aprendo ai laici le istituzioni parlamentari e di governo. “Pio IX – chiunque lo abbia tenuto in considerazione non può dubitarne – possiede un cuore buono e puro, ma avrebbe dovuto possedere anche una mente, non solo forte, ma anche grande …” Invece il Papa si era ritratto spaventato dal radicalismo degli insorti e dalle minacce delle potenze straniere e alla fine aveva ripudiato la causa dell’indipendenza, abbandonando “i giovani eroi che erano scesi in campo con la sua benedizione”.
Siamo a un momento di svolta, non solo nelle vicende italiane di quegli anni, ma anche nella vita personale di Margaret Fuller, che a Roma conobbe l’uomo della sua vita, il marchese Giovanni Angelo Ossoli, patriota e squattrinato, più giovane di lei di undici anni, in urto con la famiglia di piccola nobiltà papalina. La sua amica Emelyn Story lo descrisse così: “Appariva di natura riservata e gentile, con modi quieti, signorili e aveva un non so che di malinconico nell’espressione che faceva desiderare di conoscerlo meglio. Dal punto di vista fisico era alto e snello, con capelli e occhi scuri. Sembrava avere circa trent’anni, forse meno”. Al primo incontro con Margaret, ne aveva ventisei. Ebbero presto un figlio, Angelino, nato il 5 settembre del 1848: Margaret aveva nascosto la gravidanza, gli amici americani un po’ si preoccupavano e un po’ spettegolavano, la libera pensatrice avrebbe ceduto al matrimonio? Andò a partorire a Rieti, lasciando il neonato a balia per tornare a Roma a seguire gli eventi incalzanti. Stava nascendo anche la Repubblica romana.
Nella primavera del 1849 Fuller firmò la sua prima corrispondenza di guerra dalla città assediata dai francesi: “Vi scrivo da una Roma barricata. In questo momento la Madre delle Nazioni si trova attaccata da tutte le parti. Già stava sopportando grandi sofferenze per i rovesci subiti da tutti quelli che avevano combattuto per l’indipendenza italiana: la sconfitta di Novara, la resa, le dolorose condizioni di Genova e le difficoltà finanziarie – insormontabili salvo che il governo non riuscisse a trasmettere fiducia all’estero come all’interno …” Ormai spedisce solo articoli amari, disperati. Brilla la sua ammirazione per Cristina Trivulzio di Belgioioso, la principessa lombarda che ha avuto i beni sequestrati da Radestzky e che è venuta a Roma a organizzare gli ospedali e l’assistenza ai feriti: non ha più soldi suoi e se ne va in giro per la città “facendo la questua, accompagnata da due signore velate”. Giovanni Ossoli combatte sulle mura vaticane guadagnandosi il grado di capitano.
Quando tutto fu veramente perduto non rimase che tornare a Rieti a prendere il bambino e rifugiarsi a Firenze in attesa di partire per gli Stati Uniti. Ossoli e Fuller si imbarcarono, con il piccolo Angelino e la bambinaia, su un mercantile carico di sete e marmo. La nave prese il largo dal porto di Livorno diretta a New York, ma il 17 maggio 1850 fece naufragio nei pressi di Fire island, in vista della costa americana. Margaret aveva con sé anche il libro scritto in quei giorni convulsi, allucinati, e che è andato perduto: era intitolato “Storia della Repubblica romana”. Ha scritto Henry James che “il fantasma Margaret” rimase vividamente presente nella sua comunità filosofica. Emerson curò la raccolta e la pubblicazione dei suoi scritti, Hawthorne trasse ispirazione da lei per “La lettera scarlatta”.