L’età pericolosa e l’ultimo romanzo di Silvia Avallone

Con "Cuore nero" l'autrice ha spinto più avanti la sua esplorazione dell’adolescenza, lo ha fatto in modo crudele e insieme pieno di tenerezza per l'età in cui siamo tutti più fragili ed esposti

Silvia Avallone
Foto di Giovanni Previdi

Quando ho conosciuto Silvia Avallone aveva 26 anni, era una giovane poeta, aveva da poco vinto il premio Alfonso Gatto e scritto un romanzo d’esordio che ebbe il Campiello per l’opera prima, arrivò secondo allo Strega, fu subito tradotto e pubblicato in venticinque  lingue. E come sempre accade qui da noi, quando il  successo è grande e immediato, il fenomeno irritò parte dell’establishment letterario.

Era il 2010, quel romanzo era intitolato Acciaio e, come ogni opera prima, aveva qualcosa di acerbo ma anche una sua riconoscibile potenza espressiva, una vitalità linguistica e un modo originale, non convenzionale, di guardare il mondo operaio e la femminilità appena sbocciata di due ragazzine del secolo XXI.

"Acciaio", la copertina del romanzo (2010) e la locandina del film (2012)
“Acciaio”, la copertina del romanzo (2010) e la locandina del film (2012)

Acciaio –  Stefano Mordini ne ha poi fatto un film –    raccontava la vita all’ombra delle grandi acciaierie in crisi di Piombino: dove  la cultura condivisa non era più quella della sinistra sindacale ma quella delle tv commerciali;  dove l’uso di cocaina aveva rimpiazzato l’orgoglio e la lotta come mezzo per resistere alla brutalità della fabbrica; dove l’addestramento a una seduttività da cubiste, veline e letterine pareva l’unico amo disponibile per chi volesse cambiare vita e uscire  da quel mondo. Era l’Italia del sogno berlusconiano e Silvia la raccontava  attraverso lo sguardo fresco ma  privo di innocenza di due  adolescenti che volevano lasciarsi alle spalle i casermoni popolari. Iniziava così il suo lungo viaggio di autrice nell’età labile, quella in cui ti senti tutto e il contrario di tutto, e che proprio per questo è l’età più pericolosa della vita.

Sono passati parecchi anni  e Silvia Avallone, che oggi è madre di due bambine, in tutti i suoi libri  ha continuato a esplorare l’adolescenza con uno sguardo che è, insieme, crudele e pieno di tenerezza per le pulsioni e per i sogni che fanno dell’età pericolosa la confusa stagione che, nei contesti più duri e insidiosi, può precipitare i ragazzi giù, a schiantarsi come Icaro con le ali bruciate.  La sua è un’indagine letteraria condotta con passione e tenacia, affinando  – libro dopo libro – la capacità di comprendere e raccontare l’ambivalenza e il rischio del momento in cui tutti siamo stati desideranti e indefiniti. Fino a Cuore nero, l’ultimo romanzo che per me è il più bello, il frutto più maturo di un’investigazione sottile  e inquieta durata quattordici anni.

"Cuore Nero" (2024) è l'ultimo romanzo di Silvia Avallone
“Cuore Nero” (2024)

Cuore nero, pubblicato da Rizzoli, ha appena vinto il premio Elsa Morante ed è la storia di un misfatto commesso a quindici anni. Su questo non dirò di più perché il libro è costruito come una macchina narrativa che trascina il lettore per più di trecento pagine senza rivelare le dinamiche di una giornata che in poche ore ha cambiato irrimediabilmente, per sempre, la vita della protagonista.  Il lettore entra nella storia quando il percorso di recupero attraverso il carcere minorile è già concluso e Emilia va a nascondersi a Sassaia, una frazione di montagna semi-abbandonata e dove si arriva soltanto a piedi, sperando di recuperare una normalità impossibile. A Sassaia trova Bruno, un altro che si nasconde dalla vita perché è sopravvissuto a un disastro. Lui si innamora di lei  e diventa il narratore delle loro storie: la verità affiora lentamente nello scoprirsi, annusarsi, urtarsi e avvicinarsi di due difficili, forse incompatibili  esistenze. Perché il male fatto e quello subito sono incancellabili, si somigliano e la cattiveria del mondo, il pettegolezzo, la gelosia, l’invidia arrivano anche a Sassaia.

La scrittura è come sempre rigogliosa e pop. Rigogliosa perché Avallone appartiene – seconda la famosa distinzione  di Gesualdo Bufalino  tra scrittori umidi e scrittori asciutti – alla prima categoria e può trattenere più immagini in uno stessa frase, che le cresce tra le mani germogliando. Pop perché la sua lingua è assolutamente contemporanea, attinge al parlato, i colori sono decisi e i personaggi  come quelli disegnati da Emilia: escono dalla carta fissati in un gesto per poi tornare in movimento subito dopo,  nella successiva inquadratura. Leggendo questo romanzo, che è il quinto, mi è sembrato di riconoscere in queste caratteristiche uno stile personale.

Cuore nero esplora l’oscurità che è difficile ravvisare in se stessi nell’età pericolosa e che, in circostanze molto difficili, come è accaduto a Emilia, può “eruttare” bruciando irreparabilmente il tessuto di una o più vite. Il male non si cancella, le ustioni restano, la lava distrugge. Ma con un po’ di fortuna, riconoscendo lo strazio delle ferite inflitte, si può provare a ricominciare. A patto di avere la forza di andare in fondo, alle conseguenze, e caricarsene il peso sulle spalle: ci sono pagine molto belle, in questo libro, dove si racconta come un’ossessione può impadronirsi di noi e trasformarci in personalità divise, agirci come esseri assenti eppure vigili e presenti a noi stessi. Sappiamo bene cosa stiamo facendo ma non riusciamo a interrompere la sequenza dell’odio.                

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