Quando ho conosciuto Silvia Avallone aveva 26 anni, era una giovane poeta, aveva da poco vinto il premio Alfonso Gatto e scritto un romanzo d’esordio che ebbe il Campiello per l’opera prima, arrivò secondo allo Strega, fu subito tradotto e pubblicato in venticinque lingue. E come sempre accade qui da noi, quando il successo è grande e immediato, il fenomeno irritò parte dell’establishment letterario.
Era il 2010, quel romanzo era intitolato Acciaio e, come ogni opera prima, aveva qualcosa di acerbo ma anche una sua riconoscibile potenza espressiva, una vitalità linguistica e un modo originale, non convenzionale, di guardare il mondo operaio e la femminilità appena sbocciata di due ragazzine del secolo XXI.
Acciaio – Stefano Mordini ne ha poi fatto un film – raccontava la vita all’ombra delle grandi acciaierie in crisi di Piombino: dove la cultura condivisa non era più quella della sinistra sindacale ma quella delle tv commerciali; dove l’uso di cocaina aveva rimpiazzato l’orgoglio e la lotta come mezzo per resistere alla brutalità della fabbrica; dove l’addestramento a una seduttività da cubiste, veline e letterine pareva l’unico amo disponibile per chi volesse cambiare vita e uscire da quel mondo. Era l’Italia del sogno berlusconiano e Silvia la raccontava attraverso lo sguardo fresco ma privo di innocenza di due adolescenti che volevano lasciarsi alle spalle i casermoni popolari. Iniziava così il suo lungo viaggio di autrice nell’età labile, quella in cui ti senti tutto e il contrario di tutto, e che proprio per questo è l’età più pericolosa della vita.
Sono passati parecchi anni e Silvia Avallone, che oggi è madre di due bambine, in tutti i suoi libri ha continuato a esplorare l’adolescenza con uno sguardo che è, insieme, crudele e pieno di tenerezza per le pulsioni e per i sogni che fanno dell’età pericolosa la confusa stagione che, nei contesti più duri e insidiosi, può precipitare i ragazzi giù, a schiantarsi come Icaro con le ali bruciate. La sua è un’indagine letteraria condotta con passione e tenacia, affinando – libro dopo libro – la capacità di comprendere e raccontare l’ambivalenza e il rischio del momento in cui tutti siamo stati desideranti e indefiniti. Fino a Cuore nero, l’ultimo romanzo che per me è il più bello, il frutto più maturo di un’investigazione sottile e inquieta durata quattordici anni.
Cuore nero, pubblicato da Rizzoli, ha appena vinto il premio Elsa Morante ed è la storia di un misfatto commesso a quindici anni. Su questo non dirò di più perché il libro è costruito come una macchina narrativa che trascina il lettore per più di trecento pagine senza rivelare le dinamiche di una giornata che in poche ore ha cambiato irrimediabilmente, per sempre, la vita della protagonista. Il lettore entra nella storia quando il percorso di recupero attraverso il carcere minorile è già concluso e Emilia va a nascondersi a Sassaia, una frazione di montagna semi-abbandonata e dove si arriva soltanto a piedi, sperando di recuperare una normalità impossibile. A Sassaia trova Bruno, un altro che si nasconde dalla vita perché è sopravvissuto a un disastro. Lui si innamora di lei e diventa il narratore delle loro storie: la verità affiora lentamente nello scoprirsi, annusarsi, urtarsi e avvicinarsi di due difficili, forse incompatibili esistenze. Perché il male fatto e quello subito sono incancellabili, si somigliano e la cattiveria del mondo, il pettegolezzo, la gelosia, l’invidia arrivano anche a Sassaia.
La scrittura è come sempre rigogliosa e pop. Rigogliosa perché Avallone appartiene – seconda la famosa distinzione di Gesualdo Bufalino tra scrittori umidi e scrittori asciutti – alla prima categoria e può trattenere più immagini in uno stessa frase, che le cresce tra le mani germogliando. Pop perché la sua lingua è assolutamente contemporanea, attinge al parlato, i colori sono decisi e i personaggi come quelli disegnati da Emilia: escono dalla carta fissati in un gesto per poi tornare in movimento subito dopo, nella successiva inquadratura. Leggendo questo romanzo, che è il quinto, mi è sembrato di riconoscere in queste caratteristiche uno stile personale.