Si scaverà ancora lungo la strada di Viznar, dalle parti Alfacar ai piedi della Sierra, dove ci sono le fosse comuni della guerra civile spagnola e dove all’alba del 19 agosto 1936 furono fucilati il maestro di scuola ateista Dioscoro Galindo, i banderilleros anarchici Joaquin Arcollas e Francisco Galadì, il poeta Federico Garcia Lorca. Un ragazzo di diciassette anni, Manolo il comunista, reclutato come becchino in cambio della vita, riconobbe subito i banderilleros, eroi della plaza de toros, notò che il maestro aveva una gamba di legno e che il quarto, il poeta, portava un farfallino da artista. Li seppellì in una fossa stretta, uno sopra l’altro.
Gli scavi alla ricerca di ciò che resta dei corpi ripartiranno non lontano dal luogo dei precedenti e infruttuosi tentativi, promuove l’iniziativa con denaro privatamente raccolto l’associazione Regreso con Honor; la richiesta di esumazione è dei parenti di Dioscoro Galindo, ma le autorizzazioni pubbliche tardano. I Lorca non ne vogliono sapere e considerano l’ansia inesausta di trovare Federico, che giace lì sotto confuso con gli altri, una forma di accanimento morboso. Sarebbe a dir poco imbarazzante, ha fatto notare su Vanity Fair Laura Garcia Lorca, nipote del poeta, selezionare resti umani per rigettare nella fossa quelli che non si possono identificare. Come è scritto su un cippo tra gli ulivi, “tutti erano Lorca”, e la loro comune tomba è questa campagna dalla crosta dura, di zolle pesanti.
Ora la Junta di Andalusia dice che non servono pronunciamenti, che si scavi pure con le normali autorizzazioni amministrative e tecniche, ma i responsabili della nuova “busqueda” sostengono che non si vuole applicare la legge sulle esumazioni delle vittime della guerra civile e che una “mano negra” sta spingendo tutto in un mare di burocrazia per perdere altri mesi, piegandosi agli interessi della famiglia Lorca. Intanto il tempo fugge e non è indifferente, la nipote di Dioscoro Galindo è quasi ottuagenaria …
Perfino il grande ispanista Ian Gibson, il maggior studioso di Lorca internazionalmente riconosciuto, da sempre favorevole alle ricerche, in più occasioni ha osservato che la famiglia di Federico, così granitica nell’opporsi all’esumazione, forse sa più di quello che può o vuole dire: c’è la possibilità che i resti abbiano da tempo cambiato sito. E qui si apre un sipario di supposizioni, ma anche di narrazioni e dicerie che – 80 dopo l’assassinio del poeta e dei tre repubblicani che ne condivisero la sorte – ancora alimenta la mitologia di un cold case tragico e avvincente.
Il retro-pensiero ricorrente è appunto che la famiglia Lorca si opponga agli scavi perché il corpo sarebbe stato segretamente traslato in una tomba sconosciuta ancora in epoca franchista, oppure addirittura trafugato all’estero. Quest’ultima, la più romanzesca delle storie, l’ha raccontata in un libro (“El Amante Uruguayo. Una Storia Real”) lo scrittore peruviano Santiago Roncagliolo, incaricato qualche anno fa dall’ editore andaluso Alcalà di indagare sull’uruguaiano Enrique Amorim, uno strano personaggio amico di importanti intellettuali e artisti del ventesimo secolo, tra i quali anche Picasso, Neruda, Borges, Jean Paul Sartre.
Roncagliolo ha ricostruito la storia di un misterioso monumento a Lorca nella città di Salto, sulle rive del fiume che separa l’Uruguay dall’Argentina. Un memoriale inaugurato alla fine del 1953 con un rito singolare: presenti centinaia di persone, onori militari come in un funerale di stato, l’attrice Margarita Xirgù che recita frammenti di “Nozze di Sangue”, la posa di una lapide con versi che reclamano una tomba nell’Alhambra e un maestro di cerimonie emozionatissimo, che ringrazia gli astanti per quel silenzioso atto di giustizia e dà il via all’interramento di una cassetta da ossario bianca, teatralmente calata giù mentre l’uomo pronuncia queste parole: “Qui, in quest’ umile piega di terra cui sarò per sempre legato, sta Federico…”
Quell’uomo era lo scrittore Enrique Amorim , seduttore di artisti ed eccentrico impostore , milionario e comunista, omosessuale e ammogliato, sedicente amante di Federico che aveva conosciuto in Argentina nel 1934 e di cui fu certamente innamorato, come risulta dalle sue memorie inedite. Nel libro di Roncagliolo sono raccolte anche diverse immagini: quelle della cerimonia del 1953, di cui però non ci sono più testimoni viventi, Enrique giovane negli anni Venti, bello e dannato, le foto di Lorca in Uruguay e quelle dedicate ad Amorim dal poeta.
Nel 1952, Enrique scomparve da tutti i radar per alcuni mesi. Si dice fosse in missione a Granada per trafugare, o per comprare da funzionari corrotti i resti di Federico Garcia Lorca, cui sarebbe rimasto per sempre devoto. Riapparso in Uruguay, Amorim annunciò pubblicamente di voler costruire un monumento a Lorca e l’unico modo per sapere se ciò che accadde il giorno dell’inaugurazione fu veramente un funerale del poeta o solo una delle tante messe in scena del camaleontico personaggio, sarebbe analizzare il contenuto della cassetta interrata a Salto. Ma questa storia è interessante per capire la mitologia che circonda il fantasma del poeta più che l’offerta di un possibile reperto di antropologia forense.
Nella nuova edizione della biografia di Gibson, “Vida, Pasion y Muerte de Federico Garcia Lorca”, aggiornata, rivista e appena pubblicata da Debolsillo/Penguin Random House, Enrique Amorim occupa soltanto una riga e non si trovano carte private di Lorca riferite a una relazione tra i due. Mentre sono documentati il legame con Salvador Dalì, l’amato in gioventù, che alla notizia della fucilazione del poeta avrebbe pronunciato una sola parola: Olé!; quello con lo scultore Emilio Aladrén, che lo abbandò per sposarsi; la passione per Rafael Rodriguez Rapun, cui erano destinati i “Sonetti dell’Amore Oscuro”, i versi erotici rimasti inediti fino a metà degli anni Ottanta; e la relazione discreta con il critico d’arte Juan Ramirez De Luca .
E’ suggestione, certo, ma quando si arriva a Granada da Cordova si sente l’ombra di un’ala nera. Cordova è allegra e aperta sul fiume frusciante come lo strascico di una regina. Granada appare malinconica, rossa e nera, stretta nella morsa di un traffico caotico e insolente. Ragazze gitane reclamano monete in cambio di rosmarino profumato sulle scale della cattedrale che custodisce i re cattolici. Dormono nella cripta la santa coppia di Ferdinando e Isabella, la coppia spaiata di Filippo il Bello e Giovanna la Pazza, l’infante Miguel…Ultimo baluardo andaluso dei mori, l’Alhambra è una città proibita e sognante sopra la collina, dove arriva l’aria fresca della Sierra: guarda il quartiere popolare di Albaicìn di là dal Darro, un fiumiciattolo nascosto dalla vegetazione selvaggia dentro una valle profonda e stretta. Quel poco di resistenza repubblicana, quando i falangisti presero Granada nel luglio del 1936, fu proprio nelle calli dell’Albaicìn.
Perché Federico era tornato nella sua città? Dopo la turnée trionfale in Sudamerica era una celebrità internazionale; a Buenos Aires, la New York ispanica del tempo, la gente lo riconosceva per strada, il suo ego levitava potenziato da una popolarità enorme: “ Sono famoso come un torero”, aveva scritto alla famiglia.
Non era soltanto un grande poeta, era un essere umano affascinante e dotato: drammaturgo e attore, disegnatore e scenografo, suonava il piano molto bene e conversava in modo brillante. Un dandy nato in una famiglia liberale e abbiente, rivale di altri feroci clan granadini, come quello dei Roldan, cui risulteranno far capo alcuni degli uomini che lo sequestreranno. Allievo e amico del ministro dell’Istruzione Fernando de los Rios, cognato del sindaco socialista di Granada, Lorca aveva partecipato con la compagnia teatrale la Barraca all’alfabetizzazione culturale repubblicana, aveva firmato appelli dell’antifascismo internazionale, detto pubblicamente che la borghesia di Granada era la peggiore di Spagna, era con tutta evidenza omosessuale. Un uomo invidiato e per questo insopportabile, esposto come più non si poteva in una città violenta e machista che presto l’avrebbe divorato.
La Huerta de San Vicente, bianca casa estiva tra fichi e gelsomini, abitata dalla famiglia Lorca fino al 1936 e abbandonata dopo la fucilazione del poeta, è oggi un piccolo museo dentro un parco pubblico, ai bordi di una periferia qualsiasi, ma con vita ancora di quartiere: pensionati ciarlieri nei bar e ragazze che dispensano col cellulare, parlando a voce alta, abbracci e baci. Dalla terrazza della Huerta si vedono l’Alhambra e la Sierra Nevada, al piano terra ci sono il pianoforte che Federico suonava con le sorelle e un ritratto in vestaglia gialla dei tempi della Residencia de Estudiantes a Madrid. La stanza che occupò al primo piano è piccola e raccolta, con un letto monacale sotto un’ingenua Madonna dagli occhi stellati, accanto lo scrittoio possente, di legno chiaro, sul quale Lorca scrisse “Nozze di Sangue”.
Sappiamo come andò. In agosto, ci fu una prima irruzione alla Huerta e la famiglia decise che era meglio per Federico nascondersi altrove, il posto più sicuro parve la casa di amici falangisti che l’accolse, quella del poeta Luis Rosales: chi avrebbe potuto molestarlo lì? Ma Lorca fu denunciato come comunista, massone e “maricon” da Ramon Ruiz Alonso, un facinoroso ex deputato della Ceda, fazione proletaria del Fronte Nazionale, di cui la Falange era l’ala “aristocratica”. Alla seconda irruzione alla Huerta – per timore che si portino via il padre, dopo averle già preso il marito – la sorella Concha ammette che Federico è in casa di un amico falangista, poeta come lui. E da quel momento si mette in moto la macchina omicida che nulla riuscirà più a fermare e che ancora oggi presenta lati oscuri.
Perché nessuno dei familiari avvertì i Rosales che stavano per andare a prendere Federico? Bastava una telefonata. Perché dopo l’arresto, nonostante le pressioni dei Rosales per il rilascio di Lorca, il governatore José Valdes Guzman, appoggiato dal generale Llano, si prese la responsabilità della fucilazione e la fece eseguire segretamente, in tutta fretta, prima che si potesse tornare indietro? Fu un groviglio inestricabile di odio politico, invidie e vendette familiari, rivalità interne alla destra nazionalista, stupidità ed eccessi di zelo. Esistono versioni diverse degli ultimi momenti di vita di Lorca, e nessuna è veramente attendibile – secondo Ian Gibson, che tuttavia riferisce una testimonianza di seconda mano, stando alla quale fu necessario il colpo di grazia.
Dopo ci furono beni confiscati, la famiglia Lorca fuggita all’estero, i Rosales che – per non subire ritorsioni – dovettero pagare una grossa somma di denaro e, in giro per Granada, uno tra gli assassini – Juan Luis Trescastro, lontano parente dell’ucciso – che si vantò di avergli sparato nel fondoschiena. E soprattutto l’opera di Lorca oscurata in Spagna fino alla caduta di Franco. Ce n’è già abbastanza per spiegare perché il fantasma del poeta dopo ottant’anni vaghi ancora insepolto. E’ il peso oscuro della colpa: il nulla che ha ucciso il tutto, come disse Luis Rosales. Aver ammazzato (o non aver saputo proteggere) la propria anima, uno che poteva essere Shakespeare.
Resta da chiedersi perché il senso di colpa sia arrivato così tardi. Per decenni tutto è rimasto congelato, e quando è morto Franco si temuto che riesplodessero i rancori. Hanno comprensibilmente rimosso altri intellettuali di quella generazione, rimasti in Spagna alla corte del regime, con le loro carriere accademiche e i loro margini di libertà. La famiglia, straziata, ha mantenuto un atteggiamento distante e per decenni ha occultato, con i “Sonetti dell’Amore Oscuro” , una parte importante della verità su Lorca. Federico incarnava tutto quello che il franchismo avrebbe volentieri estirpato, e che una nuova classe in ascesa e in cerca di riscatto sociale nella Andalusia rurale si era incaricata di far fuori subito.