Chi ha ragione? Dobbiamo credere a Tolstoj, apostolo dell’infinita varietà degli amori, che riteneva ce ne fossero tanti quanti sono i cuori che battono? Oppure crediamo a Thomas Mann, che considerava l’amore unico, eterno, universale?
Forse Cinzia Leone, l’autrice del libro che mi ha fatto compagnia in quest’estate arroventata, nella fresca penombra della controra, è più vicina alla versione di Mann, se per questo romanzo ha scelto come titolo un verso di “Romeo e Giulietta” di Shakespeare.
Vieni, tu giorno nella notte,
adagiato sulle ali della notte
più bianco della neve
appena scesa sul dorso di un corvo.
Vieni, dolce notte;
vieni amorosa notte dalle nere ciglia.
“Vieni tu giorno nella notte” parla della forza della vita e della giovinezza refrattarie agli orrori della guerra che dilania corpi, parla della cecità degli adulti sul cuore dei ragazzi, dice della difficoltà dei genitori di riconoscere nei figli le passioni più autentiche e di quanto sia difficile proteggere dalla vampa dell’odio le loro tenere carni.
Nella terra dove il latte e il miele si mescolano con il sangue, dove dolcezza e crudeltà sono sorelle. Se avete letto David Grossman, se avete visto la serie televisiva di Netflix “Fauda”, sapete già che le parole e le pratiche d’amicizia e d’amore possono miracolosamente coesistere, intrecciarsi, tenacemente sopravvivere dove la distruzione e la morte sono di casa.
Siamo a Tel Aviv, in Israele. Montecchi e Capuleti sono, neanche a dirlo, israeliani e palestinesi. Romeo e Giulietta – questa una delle tante sorprese del romanzo – sono invece due ragazzi dello stesso sesso. Un giovane ebreo italiano che nelle prime pagine del libro resta ucciso in un attentato, e che si trovava a Tel Aviv per aver fatto l’aliyah, il ritorno in Israele affascinato dai racconti della nonna, antica e rocciosa sionista. Il suo innamorato è un ragazzo palestinese fuggito da Jenin per sottrarsi alla persecuzione e all’infamia riservata ai gay in molti paesi musulmani.
Questo è un romanzo d’amore e d’avventura, una di quei libri che, attraverso un intreccio di storie e la voce dei suoi personaggi, ti fa conoscere una pagina del mondo contemporaneo, tracciando il ritratto di un paese cruento, irrimediabilmente diviso e insieme dolorosamente vitale.
Un paese dove più di mezzo secolo di conflitto, e la necessità proteggersi dagli attentati, hanno prodotto un’intelligence molecolare che convive acrobaticamente con una libertà di pensiero e di spirito capace di muovere centinaia di migliaia di persone contro la riforma della giustizia voluta da Netanyahu. Mentre, di là dal muro, è cresciuta una gioventù arrabbiata e senza speranza, disposta a farsi saltare in aria perché pensa di non avere futuro e di essere stata tradita dai padri. In questa terra bruciata due ragazzi si trovano, si amano e sono travolti dalla violenza. La madre di uno dei due imparerà a conoscere se stessa e suo figlio solo elaborando il lutto: rimettendo letteralmente insieme pezzi di vita e pezzi di corpo, aiutata e affettuosamente sostenuta dall’habibi, l’amore del suo ragazzo.
Per scrivere questo libro Cinzia Leone, che mi è cara, è riuscita a sintonizzare la sua doppia origine – lei è nata in una famiglia mista e sa che l’amore tra diversi non solo è possibile, ma può essere più forte di qualsiasi cosa – con la sua doppia natura di scrittrice e disegnatrice. E per questo sa farci vedere accostamenti e possibilità che sfuggono a stereotipi e schemi. Dove brucia l’odio arde anche l’amore, nei conflitti non ci sono solo rivalità e sopraffazione, corruzione e menzogna, c’è anche un’ irresistibile attrazione per ciò che è diverso, curiosità e desiderio di incontrare e conoscere la bellezza dell’altro.