Appunti di lettura
La Casa di Roma di Pierluigi Battista è un romanzo di idee, scritto in forma epistolare. E questo lo rende originale e poco consueto.
Un autoritratto di famiglia borghese, romana, si compone attraverso i racconti dei personaggi e ciascuno fornisce una sua diversa versione della storia, di fatti e misfatti. Le voci sono quasi tutte maschili, una donna però gioca un ruolo molto importante e significativo. E’ Anita, l’unica rimasta nella generazione dei figli dei due fratelli Grimaldi, Raimondo ed Emanuele. E sono struggenti i ricordi dell’infelice, sventata Teresa, morta molto presto in modo crudele, e dell’amatissima Luisa, la moglie del testimone chiave.
Fratelli coltelli come i gemelli della mitologia romana, i Grimaldi sono proprietari di una casa nel quartiere Prati.
La loro casa è un’ elegante palazzina di via Orsini, nota per i suoi villini liberty, comprata dopo la guerra grazie alla vendita delle terre della nonna in Puglia, luogo d’origine dell’intera tribù. Raimondo ed Emanuele ci abitano in due appartamenti con le rispettive mogli e relativa progenie, i ragazzi crescono giocando nello stesso giardino tutti insieme.
I fratelli Grimaldi convivono, ma sono stati separati dal grande incendio del secolo, dall’adesione giovanile a una delle opposte visioni totalitarie che entusiasmò i loro cuori di ventenni alle soglie della seconda guerra mondiale. Così, al dunque, uno divenne comunista e fu nella semi clandestinità antifascista, anche se non prese mai le armi in mano. Mentre l’altro aderì all’ultima ridotta del fascismo, la Repubblica sociale. Questo fece di loro esseri dalle traiettorie opposte: nell’Italia della rinascita il primo sarà uno stimato docente universitario, rispettato esponente dell’intellighenzia comunista, un barone rosso, come dicevamo da ragazzi. L’altro invece sarà un mediocre cinematografaro di destra, una specie di reietto, fascista antropologico e seduttore seriale.
Gli scambi epistolari tra figli e nipoti svelano gradualmente che le cose però non stanno esattamente così: ognuno infatti nasconde un suo segreto, ha la sua vergogna. E se il professore comunista, così severo e anaffettivo, non può considerarsi integerrimo; il fratello fascista non è l’inoffensivo cialtrone che sembra. Quanto ai loro figli, che nel frattempo sono cresciuti, si trovano coinvolti nelle violenze di piazza degli anni Settanta. A parti rovesciate però. Il gioco edipico infatti assegna al padre comunista un figlio militante di destra; viceversa, il fratello fascista ha allevato un ragazzo di sinistra.
I personaggi sono molto caratterizzati, come nella forma del romanzo filosofico. Ciò che conta sono i loro argomenti, le voci affettuose o sarcastiche, incazzate o ironiche, della numerosa progenie. Le lettere che si scambiano i Grimaldi, infatti, non sono freddi distillati di idee. Al contrario, qui scorre un appassionato flusso di ragioni e torti, dove ognuno rivendica la sua verità.
Un fiume di parole trascina con sé modi di pensare, culture, emozioni e gusti, ipocrisie e conformismi, storie di personaggi conosciuti o riconoscibili, indimenticabili eventi e madornali scempiaggini nella vita delle generazioni di mezzo del secolo scorso. Ogni capitolo ha in esergo il verso di una canzone e nella famiglia Grimaldi si trovano non solo le conseguenze dei grandi traumi collettivi, ma anche le mode, i tic, le infatuazioni e il lessico dei figli della borghesia urbana della mia stessa età.
Il romanzo di famiglia, progettato da un volenteroso nipote, però non si farà e la buona creanza vieta tassativamente di dire il perché: chi legge deve scoprirlo da sé e trarre le sue conclusioni.
Le generazioni di mezzo del secolo scorso hanno dissacrato le illusioni dei loro genitori tradendone le aspettative, hanno stanato gli scheletri nascosti negli armadi, sfasciato muri e spazzato macerie. L’hanno fatto con ironia, con passione, talvolta con dabbenaggine e con violenza. Ne hanno tratto energia e sensi di colpa. E’ stata una cavalcata lunga e avventurosa, la storia del nostro disincanto. Ma per ricostruire ci vuole la forza e lo spirito delle generazioni del nuovo millennio. Quelle che probabilmente ci prenderanno a pesci in faccia.